ore 11.22
Il pellegrinaggio a piedi dall’Abbazia di San Mauro in Stella di Monsampolo fino all’Abbazia di San Benedetto in Valledacqua è nato proprio così: prima nella testa come un sogno poi nel cuore come progetto che si è via via concretizzato grazie alla passione degli educatori dell’Azione Cattolica di Stella come proposta estiva per i giovanissimi. 5 giorni di cammino, 70 km percorsi, 24 ragazzi protagonisti, 3 educatori e 1 prete come accompagnatori, 12 paesi attraversati, tanti volti incrociati: questi i numeri di un’esperienza che rimarrà nel cuore dei ragazzi che hanno deciso di aderire, con un pizzico di incoscienza, a questa proposta.
Le tematiche del lungo pellegrinaggio
Un percorso scandito da cinque tematiche legate al cammino (uscire, fare deserto, faticare, camminare insieme, scoprire la compagnia di Dio), cinque ingredienti indispensabili per mettere a tema una domanda fondamentale: di cosa ho veramente bisogno? L’esperienza di un pellegrinaggio a piedi è servita soprattutto a questo. Il pellegrino è uno che cammina, che ha accettato di partire, di spezzare o interrompere il corso ordinario dei giorni, per porre il suo centro di gravità nel movimento. Un continuo sbilanciamento in avanti verso nuove frontiere, superando confini e limiti. Chi cammina sa che dovrà da quel momento fare esercizio di leggerezza, ma sa anche che essa si acquisisce solo camminando. Costa sempre qualcosa, ma è accettando di pagare questo prezzo che si diventa pellegrini.
Il pellegrino imita Gesù
All’inizio occorre definire quali sono gli elementi necessari per il cammino e quali sono quelli superflui da cui occorre distaccarsi per poter viaggiare “leggeri”. Iniziare un cammino significa necessariamente prendere distanza dalle comodità, da tutto ciò che ci custodisce. Ma il distacco è finalizzato alla crescita dell’autonomia, della fiducia in Dio, in sé stessi (le proprie risorse spesso sconosciute) e nei compagni di viaggio. Il pellegrino imita Gesù che è l’uomo in cammino. La sua missione si compie lungo le strade polverose della Palestina, attraversa città e villaggi, ma nessuno di essi diventa la sua sede stabile, non ha un posto dove posare il capo (Lc 9,58). Sceglie di vivere provvisoriamente e nella precarietà, sceglie di puntare sull’ospitalità spostandosi di luogo in luogo, di casa in casa. Camminare è il suo modo per entrare in contatto con la gente. Gesù abbandona tutto, sempre, non è attaccato alle cose, non ha paura del nuovo perché intende costruire ogni giorno il regno di Dio attraverso le relazioni. Lo spostamento continuo di Gesù crea spazi di esperienza imprevisti per sé e per gli altri. Cammina, passa e chiama. Ci chiama a seguirlo lungo la strada. Tutto il Vangelo ci racconta il dinamismo dell’uscire, la dinamica tipica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e seminare (EG 21).
Camminare vivendo
Chiamati, dunque, a vivere camminando e a camminare vivendo: nella consapevolezza che solo camminando s’apre il cammino, che solo vivendo ci si dischiude il senso della vita. Strada – vita: un binomio singolarissimo. Partire è anzitutto uscire da sé. Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro ‘io’. “Partire è smetterla di girare in tondo intorno a noi. Come se fossimo al centro del mondo e della vita. Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui apparteniamo: qualunque sia l’importanza di questo mondo, l’umanità è più grande ed è essa che dobbiamo servire. Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro. Camminare è andare verso qualcosa o meglio qualcuno”. (H. Camara, Il deserto è fecondo).
Non consumare ma contemplare
La possibilità di godere di spazi solitari e di lunghe pause di silenzio è una componente essenziale del cammino. I ragazzi hanno scoperto la fatica di vivere il silenzio, ma anche la bellezza della meraviglia, dello stupore di fronte al creato, scopriranno che l’ascolto è la prima via per gioire profondamente. Si ha il tempo di “guardare” il mondo, non solo di vederlo scorrere da un finestrino. Il pellegrino impara a fermarsi; non è più un “consumatore”, ma un contemplativo. Riconosce e apprezza piccole grandi cose: il fatto che ci siano non è scontato, ma riempie di gratitudine e di meraviglia. Il silenzio è un esercizio difficile, ma salutare perché dona armonia al cuore e alla mente. Il disagio, la fatica, l’incertezza sono componenti strutturali e fondamentali del pellegrinaggio. Il pellegrino sperimenta la propria inadeguatezza, conosce meglio i propri limiti e le proprie possibilità; la scoperta sorprendente di potercela fare a patto che si accolga la fatica e il dolore sono forti fattori di verità: cadono, una dopo l’altra, le maschere e si prende contatto con tutti i sentimenti del vissuto umano (gioia, tristezza, rabbia, scoraggiamento, resilienza, speranza, fiducia).
La condivisione dell’esperienza
Al termine della giornata si è sempre lasciato spazio per ringraziare e condividere gioie e fatiche della tappa e permettere non solo di fare memoria grata, ma anche di cogliere il senso del vissuto. Magari per comunicarlo, nell’immediatezza dei social o una volta tornati, ai genitori o agli amici che sono rimasti a casa. Si camminava quasi sempre insieme a qualcuno. I pellegrini vivevano di incontri, di conoscenze, di sostegno reciproco. È un’esperienza singolare di umanità (e di cattolicità), alla quale contribuiscono tutti coloro che lungo la strada pongono gesti sorprendenti o supportano il cammino con il loro servizio. Emerge così il costitutivo bisogno dell’altro e cade la falsa idea di autosufficienza: gli altri ci sono necessari, come noi agli altri. Ne nasce spesso una nuova fiducia nell’uomo, insieme al desiderio di vivere in modo diverso le proprie relazioni (solidarietà, ascolto, condivisione, servizio, custodia, sostegno).
Stranieri e pellegrini su questa terra
“È possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni” (H. Camara, Il deserto è fecondo). Questo e tanto altro è ciò che il pellegrinaggio ha fatto emergere. Un’esperienza di grazia, di fatica, di meraviglia, di condivisione, di bellezza. Un’esperienza forse limitata e fragile come un seme gettato nel terreno del cuore, un seme che speriamo possa portare frutti buoni nella vita dei ragazzi. Sì, ogni tanto possiamo ricordarci chi siamo; siamo stranieri e pellegrini su questa terra, la nostra vera patria è un’altra, per questo possiamo salutarci con un saluto semplice ed evocativo: “buon cammino”.
On the road - ultima tappa Acquasanta - Monastero San Benedetto in Valledacqua. si conclude il pellegrinaggio ma il cammino continua. È bello vivere perché vivere è cominciare sempre ogni momento. Buon cammino della vita a tutti i ragazzi.
.On the road - campo giovanissimi Stella prima tappa Offida - Castignano - Ripaberarda. 5 ore di cammino. Tutti sani e salvi per la gioia dei genitori.
Domani tappa durissima ma bellissima.On the road - seconda tappa bellissima e allo stesso tempo eroica. 7 ore di cammino da Ripaberarda a Venarotta passando per Polesio - Montadamo - Venagrande - Castellano - Ripe di Cepparano. Per la cronaca pensavo di morire .... ma alla fine abbiamo tutti scoperto risorse inattese e imprevedibili.
On the road-terza tappa defaticante da Venarotta a Mozzano passando 'per Roccafluvione.La fatica si fa serntire ma la gioia di più: LAbazia di san Benedetto in Valledacqua è ormai vicina.
On the road - Quarta tappa da Mozzano ad Acquasanta con meritato bagno al fiume. Che spettacolo! Domani arriveremo a destinazione.