26 agosto 2007 ore 18.26
Dal buio alla luce - pregando sotto le stelle - FULL! Camposcuola 2007
26 agosto 2007
ore 18.26

Azione Cattolica Italiana
Camposcuola Giovanissimi Cagnano 2007
DAL BUIO ALLA LUCE
Pregando sotto le stelle



1° parte: IL MURO DEL NOSTRO GIARDINOfede – il nostro sguardo su Dio, lo sguardo di Dio su di noi.
Ciascuno di noi spesso si barrica dietro un muro. Un muro fatto di paure, di vuoti, di mancanza di relazioni forti e di una speranza contagiosa, un muro di dolore dal quale gridiamo “Dio dove sei?”… Eppure non ricordiamo che siamo noi ad aver innalzato quel muro chiudendo Dio dall’altra parte, eppure siamo noi che non ci accorgiamo che Dio ci attende di là dal muro.


Voce femminile: “C’è una terra del mio giardino di quelle dure, di quelle terre che fanno venire su gli ulivi. Le foglie di questi ulivi sono grigie, come solo certe nuvole e solo certo mare. Ho aperto gli occhi all’improvviso, stanotte, una folata di vento ha fatto sbattere più volte le persiane. E ho avuto un pensiero, nel silenzio e nel sonno intorno a me. Sono sfilata via dal letto, ho appoggiato i piedi sul pavimento. Mi sono avvicinata alla finestra che dà sul giardino buio. L’ho guardato. Allora ho avuto un’idea. Una di quelle idee che mi impediscono di riprendere il sonno. Sono scesa giù, in giardino. C’è una terra nel mio giardino di quelle dure, secche, fatta di terra e pietre. Che a penetrarla con la vanga mi devo mettere con tutti e due i piedi sopra la vanga e spingere e allora poi scende. E c’è un muro di pietre, tutt’intorno, di pietre d’ardesia che si incastrano l’una con l’altra… sono uscita dalla porta a vetri della cucina, ho guardato dentro il buio… mi sono sporta un po’ di più, nel silenzio… per ascoltare… ho appoggiato il piede nudo sulla terra fredda…”
(LUCILLA GIAGNONI, Vergine madre, Novara 2005)

Guida maschile:
Una pietra nella tua mano.
Aggregato minerale di una forma non definibile.
Massa di un vago colore,
che non sa di niente.
Inodore,
immobile.
Superficie che reca un incerto disegno.
Scheggia tagliente staccata da una parete di montagna
o ciottolo levigato dall’acqua.
Sasso sul sentiero su cui inciampa il viandante.
È fredda nella tua mano.
È pesante.
Tende verso il basso.
Morta realtà.
Dura materia.
La tua vita.
A volte può diventare pietra.
E’ pesante anche a te stesso.
Ti attrae verso il basso.
Sei tu!
Il tuo cuore rinuncia ad amare,
è freddo.
Ti trovi solo.
Nella tua pesantezza ti ritrovi vuoto.
Tu pesante sasso,
ciottolo senza vita, senza cuore.
E’ vero sono una pietra!
Io con la mia miseria,
l’incapacità di amare!
(GUIDO NOVELLA, Celebrare con le cose, Torino 1986)

Riflessione: Signore, sono davanti ad un muro e tu sei dall’altra parte…un muro costruito con le mie mani, giorno dopo giorno, pietra dopo pietra. Un muro che è una scelta, di indifferenza, di emarginazione…ogni tanto Signore, provo a sbirciare dall’altra parte, mi aggrappo a quelle di pietre di dolore e lacrime e mi tiro su con l’orgoglio di chi vuole soffrire da solo. Ti trovo immobile, dall’altra parte ad attendermi…allora con un salto torno giù per non vedere…perché è più comodo pensare che tu te ne sia andato…è più facile essere lasciati di lasciare! E così mi siedo, schiena a quell’unico muro che ci divide.. e mi faccio domande su di te, mi chiedo cosa c’entri Tu con la mia vita? Cosa sai delle mie ferite?
E come mai continui a restare seduto lì, di fronte ad un muro di lacrime e dolore che apparentemente non ti appartengono…
La tua schiena contro la mia schiena, riuscirei quasi a sentirti se non fosse per quel muro…e mi viene in mente: siamo sicuri che questo muro è tutto mio? E se la mia vita, le mie pietre fossero anche le tue…se quel muro appartenesse in realtà ad entrambi?
(MARA SCHIAVI – LUCA MARCELLI, Dal buio alla luce, Stella di Monsampolo 2007)

Riflessione: Davanti a chi soffre l'atteggiamento più giusto sembrerebbe il silenzio. Però anche il silenzio può essere frainteso o come segno di imbarazzo, o come tentativo di rimozione del problema. E allora tanto vale parlarne. Semmai con pudore, chiedendovi scusa per ogni parola di troppo. Dire che con il vostro dolore contribuite alla salvezza del mondo, può sembrarvi letteratura consolatoria. Ricorrere alle frasi fatte degli occhi che vedono bene solo attraverso le lacrime, può essere inteso come insulto gratuito, almeno come un ritrovato sterile della saggezza umana. Accennarvi che, in fondo, ognuno si porta dentro il suo carico di dolori e che, tutto sommato, non siete poi così soli come sempre, potrebbe accrescere il vostro sdegno. Aggiungere che un giorno sarete schiodati pure voi dalla croce, può apparire uno scampolo di quell'eloquenza mistificatoria che non convince nessuno.
Ma dirvi che sulla croce un giorno ci è salito un uomo innocente, e che sul retro della croce c' è un posto vuoto dove un altro innocente è chiamato a fare compagnia a Cristo, appartiene al messaggio inquietante, e pur dolcissimo, che nessuno può accorciare o mettere tra parentesi. Chiamalo, il tuo Signore: è un nome breve. Non può non sentirti: è inchiodato appena dietro di te.
(liberamente tratto da: TONINO BELLO, Pietre di scarto, Molfetta 1993)

Gesto: a conclusione di questa prima parte, uno alla volta i giovanissimi saranno chiamati ad alzarsi e ad appoggiare le spalle, allargando le braccia, su di una croce in cui sia presente Gesù crocifisso.

Riflessione: Nel Duomo vecchio di Molfetta c'è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l'ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell'opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce.
La mia, la tua croce, quella di Cristo. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell'abbandono. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre "collocazione provvisoria". Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. C'è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. "Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra". Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell'orario, c'è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce.
(ANTONIO BELLO, Alla finestra la speranza, Cinisello Balsamo 1988)

2° parte: RIUSCIRE AD AFFERRARE UNA LUCCIOLA – carità – segni dell’amore di Dio.
Come si abbatte il muro? E soprattutto cosa c’è al di là del muro? Dio si lascia trovare nonostante le nostre distrazioni ed i nostri rifiuti. Il primo passo verso la luce è quello di riuscire a trovare nel buio anche un piccolo lumino. La volontà di cercarlo, il mettere in discussione un sistema di vita fondato sul ripiegamento verso se stessi, al di qua del muro che abbiamo costruito, diventano essenziali. Poi, quando l’amore si fa discretamente presente non possiamo far altro che accoglierlo.

Voce femminile: Stanotte mi sono fermata. Tenevo i piedi sulla terra. Le piante dei piedi sulla terra. Ho alzato la mano e l’ho tesa verso il muro alto che segna il confine. Dietro il muro c’è una strada stretta, un sentiero che porta alla chiesa. Sullo sfondo c’è il mare. Ho teso la mano verso la lucciola. L’avevo chiesto io di farlo tirare su, quel muro…certo, mi avevano detto, non si vedrà più il mare, ma poi sono stata accontentata. Un muro alto di pietre che si incastrano una sull’altra. Senza cemento. È che non volevo vedere niente, non volevo vedere nient’altro. C’è troppo mondo là fuori. Stanotte…allungo una mano verso una lucciola, ma non arrivo a toccarla…
(LUCILLA GIAGNONI, Vergine madre, Novara 2005)

Ascolto canzone:
Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno che hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte e un altro di giorno teso
come un lino a sventolare.
C'è un tempo negato e uno segreto, un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire
e quella volta che noi due era meglio parlarci.
C'è un tempo perfetto per fare silenzio
guardare il passaggio del sole d'estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando è l'ora muta delle fate.
C'è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c'era tutto un programma futuro che non abbiamo avverato.
È tempo che sfugge, niente paura che prima o poi ci riprende
perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo
per questo mare infinito di gente.
Dio, è proprio tanto che piove
e da un anno non torno
da mezz'ora sono qui arruffato
dentro una sala d'aspetto di un tram che non viene
non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me, non essere mai gelosa di me.
C'è un tempo d'aspetto come dicevo
qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato
e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
la sua fotografia.
C'è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle
l'istante in cui scocca l'unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente si tende la mano
è il medesimo istante per tutti che sarà benedetto, io credo da molto lontano…
è il tempo che è finalmente o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.
Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare
io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.
(IVANO FOSSATI, C'è Tempo)

Riflessione: Riconosco nella mia vita lo scorrere incessante del tempo. Foto della mia storia, vita che prende vita, sogni e bisogno d’amore… o forse bisogno d’amare? Qual è la misura dell’amore? E quale la misura di questo mio tempo? Anni, giorni, minuti? O persone, relazioni, storie? Il tempo presente si realizza sulla base dei desideri passati, sui vuoti riempiti, su errori che fanno crescere… il tempo futuro dona a quello presente il sapore di eterno… il bisogno d’amore resta e lega invisibilmente, la terra al cielo, il presente all’eterno. C'è stato un tempo in cui ci siamo perduti, come smarrire un anello in un prato…o forse un tempo in cui io ti ho smarrito, in cui non ti ho cercato. Eppure quell’oro era lì tra i fili d’erba della mia vita ed io preferivo il sicuro stipendio al tesoro nascosto. C'è poi questo mio tempo bellissimo tutto sudato, questa mia stagione ribelle in cui in un istante scocca l'unica freccia che arriva alla volta celeste e trafigge le stelle… e riconosco il tuo amore, filo rosso che lega le tracce di questa mia storia, lo ritrovo intessuto nei miei giorni di sole, lo riconosco nel mio desiderio di te nelle tempeste delle mie notti più buie… sei tu la misura dell’amore e chi mi ha amato, chi mi ama, è, nella mia vita, presenza di Te. Amare senza condizioni, senza misura, senza limite e senza giudizio. Questa è la misura vera del tuo amore, la misura di chi ama. Questo è il tempo di quando finalmente ci si capisce, il tempo in cui mi vedrai accanto a te nuovamente. Stendo la mano nel buio e finalmente afferro quella lucciola che osservavo da tempo. Si apre la luce, si rischiara lo sguardo. Una lucciola nel buio, Signore, è la presenza discreta del tuo amore.
(MARA SCHIAVI – LUCA MARCELLI, Dal buio alla luce, Stella di Monsampolo 2007)

Nel cuore degli uomini c’è un vuoto, un bisogno che ognuno cerca di soddisfare. Una mancanza. Questo è il desiderio. La continua percezione di una mancanza. Si desidera ciò che non si ha, o che non si ha più. Desiderare è una nostalgia, tornare a qualcosa che si è lasciato, o si è perduto, verso un tempo e un luogo originario. Il luogo dove tutto ha avuto inizio. Il viaggio nel buio […] è appunto un viaggio verso l’origine, verso il principio primo. Desiderare: de-siderare <significa> non avere le stelle, ossia sentirne la mancanza. […] Dopo il buio: le stelle. Le stelle sono la luce, le stelle sono l’orientamento, indicano la rotta. In paradiso tutto è luce, tutto ha luogo. Dio è <dunque> il tempo e il luogo originario. Dio è ciò di cui abbiamo nostalgia.
(liberamente tratto da LUCILLA GIAGNONI, Vergine madre, Novara 2005)

Preghiera
Tu dai la vita per mezzo dell’amore e per l’amore, per nient’altro.
Noi siamo liberi da ogni obbligo,
ma totalmente dipendenti da una sola necessità: l’amore.
L’amore è più che il necessario per esistere,
più che il necessario per vivere,
più che il necessario per agire.
L’amore è la nostra vita che si eterna.
Quando lasciamo l’amore, noi lasciamo la vita.
Non s’impara l’amore,
se ne fa la conoscenza a poco a poco
imparando a conoscere Cristo.
E’ la fede in Gesù che ci rende capaci di amare,
è la vita di Gesù che ci rivela l’amore,
è la vita di Gesù che ci insegna come desiderare, domandare, ricevere l’amore.
E’ lo Spirito di Cristo che ci fa vivi di amore, attivi grazie all’amore, fecondi di amore.
Tutto può servire all’amore. Tutto è sterile senza l’amore.
Noi stessi per primi.

3° parte: GUARDO DI NUOVO IL MARE – speranza – l’amore genera amore.
Questo nuovo sguardo illuminato dall’amore ci fa essere pienamente uomini. Non solo ci fa essere pienamente uomini ma ci eleva alla dignità di figli di Dio e come tali capaci di seminare vita e speranza laddove tutti costruiscono muri.


Stanotte sono scesa in giardino. Mi sono avvicinata al muro…
Ho tirato via una pietra, con fatica…
E poi un’altra e un’altra ancora…
Ha cominciato a girare il vento.
Un vento caldo di scirocco…
E ho preso la vanga.
Mi ci sono messa con tutt’e due i piedi.
E alla fine la terra si è smossa.
Mi ci è voluta una notte intera. Ora è tutto pronto.
Dobbiamo solo decidere che cosa seminare…
E guardiano il cielo perché magari, domani, piove.
(LUCILLA GIAGNONI, Vergine madre, Novara 2005)

dal vangelo di Marco (10, 46-52)
E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, avendo inteso che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

Riflessione
"Che cosa vuoi che io faccia per te?" dice Gesù a Bartimeo. Bartimeo chiede la vista. Il Vangelo vuole portare il lettore a identificarsi con questo cieco, per fare a Gesù la stessa richiesta. Può sembrare paradossale che Gesù chieda a un cieco: "Che cosa vuoi da me?"… non ci vuol molto a capire cosa può desiderare un cieco!
Il messaggio è importante: prendere coscienza di quello che vogliamo veramente. Se Gesù si presentasse a noi e ci chiedesse: "Che cosa vuoi veramente da me?"... sapremmo cosa rispondere?
Noi ci vediamo, almeno con gli occhi del corpo. La differenza fra noi e Bartimeo è che noi siamo molto meno consapevoli della nostra cecità, e questo ci impedisce di sapere che cosa chiedere e di gridare al Signore. Molti pensano di sapere tutto, hanno una risposta e una soluzione per tutto: più si è ciechi e più siamo forti di noi stessi.
Siamo ciechi quando abbiamo occhi solo per il male e il negativo.
Siamo ciechi quando, magari in nome dei princìpi, perdiamo di vista la persona e la condanniamo.
Siamo ciechi quando l'abitudine stende un velo di grigio sulle bellezze di cui il Signore ci ha fatto dono e le rende scontate.
Siamo ciechi quando si ha paura di affrontare un problema e di prendere coscienza della verità.
Siamo ciechi quando i nostri attaccamenti negativi ci condizionano al punto che seguire Gesù ci sembra una perdita.
Siamo ciechi quando la fede, che è vita capace di dare vita, diventa una religione fatta di sterili istruzioni per l’uso.
Siamo ciechi quando viviamo affogati nel presente, incapaci sollevare il capo e guardare all'orizzonte eterno del mondo.
Dio è venuto per insegnare agli uomini ad essere a servizio gli uni della gioia degli altri, lui si è fatto servo perché imparassimo a mettere i nostri carismi a disposizione degli altri.
E’ proprio a noi che il Signore chiede di essere testimoni, a noi di diventare segno.
Più Cristo ha cambiato la nostra vita e più la nostra missionarietà diventa esplicita, chiara, percepibile. Percepibile da chi ci sta intorno non tanto per i grossi crocifissi appesi ai nostri colli, ma per lo stile con cui viviamo e ci appassioniamo, con cui entriamo in relazione con tutti.
Cecità
Il cristiano, è un cieco e un mendicante, come tutti. Come tutti sta ai bordi della strada della vita, tende disperatamente le mani per avere di che vivere: attenzione, affetto, approvazione. Spesso, però, il mondo lo invita a tacere, a non disturbare, a lasciar perdere, a rassegnarsi.
Se insistiamo, se urliamo più forte, ad un certo punto sentiamo che Gesù, il Figlio di Davide, ci chiama e ci incoraggia.
Qualcuno, un discepolo, un amico, un evento, ci ripete: “Coraggio! Alzati, ti chiama”.
Ci fidiamo, ci alziamo dalle nostre paralisi, abbandoniamo le nostre incommensurabili paure, gettiamo il mantello della lamentela e siamo raggiunti dal Signore.
Il Signore, oggi e sempre, ci chiede cosa vogliamo da lui. Potremmo chiedere mille cose: fortuna, denaro, affetto, carriera. Chiediamone una sola: la luce.
Luce: che importa avere fortuna se non sappiamo riconoscere chi ce l’ha donata?
Luce: quanto denaro serve per colmare il cuore incolmabile di desiderio?
Luce: quante volte l’affetto diventa oppressione e dolore?
Luce: che ci importa diventare qualcuno se restiamo tenebra?
E accade: il Signore ci ridà luce agli occhi e al cuore.
Ora, illuminati, possiamo diventare discepoli.
Illuminati
Bartimeo è rimasto lo stesso, la sua vita non cambia ma, ora, ci vede, ora sa dove andare, ora si mette a seguire Gesù.
Il cristiano vive le difficoltà e i problemi di tutti, non è diverso, né migliore, solo ci vede alla luce del vangelo. E le cose non fanno più paura, il buio è sopportabile, il Signore ci cambia la vita.
Ecco cosa dobbiamo annunciare: c’è qualcuno che ti ridona luce, che ti permette di vederci chiaro, e questo qualcuno è Dio.
Non dobbiamo portare una nostra luce, solo restare accesi, abbracciare stretti il Vangelo per ricevere luce e pace.
Nelle tenebre fitte del dolore rendiamoci capaci di comunicare luce, non la nostra ma quella del Maestro. Diventiamo, allora, come Bartimeo, colui che grida che Gesù, il Figlio di Davide, lo ha guarito, incurante dei rimproveri di chi gli sta intorno.
Il cristiano racconta, narra, le opere di guarigione interiore che ha avuto, attento più a testimoniare la straordinaria generosità di Cristo che a soffermarsi sulle proprie povertà. E’ attento alle mille cecità, ai mille mendicanti di senso e di felicità che incontra sulla strada.
“Coraggio, alzati, ti chiama!”
Come Gesù, sentiamo compassione della folla che vaga come pecore senza pastore. Nella nostra povertà, nelle nostre debolezze, popolo di riconciliati, non di professionisti del sacro, raccontiamo, mettendoci in gioco, dell’incontro che segna la nostra vita. Solo così Gesù arriverà a scaldare i cuori di altra gente.
Non bastano e non devono bastare i preti, a servizio della comunità, certo, ma non detentori dell'annuncio. No: nelle fabbriche, nei bar, nelle discoteche, nelle scuole, nei condomini, lì dove la gente vive, soffre, lavora, discute, ama, lì deve esserci un cristiano che illumina con la sua presenza. Lì può esserci un cristiano che con i suoi gesti smonta la falsa idea di un dio noioso e rompiscatole che purtroppo abita la coscienza di molti battezzati, per lasciare spazio alla seducente immagine del Dio di Gesù Cristo, Padre ricco di tenerezza e di perdono.
Ciascuno di noi, può e deve recuperare l’essenziale dell’annuncio, senza salire sulle barricate, ma dicendo ancora all’uomo mendicante di bene, di senso, di felicità: “Coraggio, alzati, il Signore ti chiama!”.
(liberamente tratto da: Commento al Vangelo a cura di DON MARCO su zabaione.blog.excite.it –
Commento al Vangelo a cura di DON PAOLO CURTAZ su www.tiraccontolaparola.it)

Gesto: ciascun ragazzo pronuncerà la frase “Coraggio, alzati” e il vicino si alzerà dandogli un abbraccio. Via, via tutti i ragazzi si ritroveranno in piedi alla chiamata del Signore. Insieme si recita il Padre Nostro.

Feedback: è il momento di condividere emozioni e pensieri suscitati dalla veglia. “Signore donami uno sguardo nuovo per…”: ognuno può prendersi un impegno verso sé stesso e soprattutto verso gli altri esprimendo a tutti il proprio buio e la propria luce. Lo fa accendendo un lumino intorno al fuoco.

Preghiera Conclusiva
Signore, ho bisogno di vederti, di riconoscerti, di parlarti.
Credo di cercarti e di non trovarti,
e scopro che sei Tu a venirmi incontro.
La strada da intraprendere per raggiungerti è lunga e non sempre facile.
Come posso farcela?
Ti sento al mio fianco,
anche se la mia testardaggine
non mi permette di ascoltarti.
Tu non mi lasci, mi sorreggi lungo il cammino, mi guidi nelle tenebre.
Certo, a volte è più facile non riconoscerti
per non compromettersi.
E’ meno faticoso scegliere la via più piana e dritta.
Ma io sono tuo figlio e so di essere chiamato all’amore,
perché così mi hai creato.
A volte non voglio sentire questa forza,
questo soffio caldo che è il tuo amore,
per paura di dover corrispondere.
Ti prego, Signore, dammi un cuore aperto all’amore,
perché possa interiorizzarlo e donarlo.
Guariscimi dalla cecità, apri le mie orecchie,
acceca il mio cuore con la luce del tuo amore.

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