29 febbraio 2008 ore 02.20
TRACCIA PER INCONTRO GIOVANI DI AC - Perché cercate tra i morti Colui che è vivo?

29 febbraio 2008
ore 02.20
ore 02.20
INCONTRO DEL 29 FEBBRAIO 2008 GRUPPO GIOVANI AC
"PERCHE’ CERCATE TRA I MORTI COLUI CHE E’ VIVO?"
a cura di Daniele De Angelis
Preghiera iniziale:
Dimmi: che cosa vedi?
Vedi crescere la pace?
Vedi fiorire la giustizia
sulla terra degli uomini?
No! Sento rumore di armi,
scoppi di bombe, fragori di proiettili,
e sulla scena di questo mondo
scorrere tanto sangue innocente.
Dimmi: che cosa vedi?
Vedi una grande tavola imbandita
per il banchetto fraterno
di tutta l’umanità?
No! Vedo donne e bambini
frugare nella spazzatura
per cercare gli avanzi delle feste dei ricchi
e calmare almeno un poco
la loro terribile fame.
Dimmi: che cosa vedi?
Vedi la terra nuova
emergere dal vecchio suolo
che ha visto troppi soprusi?
No! Ma vedo in una stanza
un uomo che spezza il pane per i suoi amici
e sulla collina del Calvario
offre la sua stessa vita.
Sta’ certo: la terra nuova sta per nascere!
Il tempo pasquale rappresenta, per il cristiano, il vertice dell’anno liturgico e in modo specifico il momento più forte per la conversione del cuore. Un tempo di grazia, un tempo propizio per tornare ad essere pienamente uomini. La Pasqua è l’inizio di un tempo originale, l’aurora di un mondo nuovo. Tutto comincia da capo, perché tutto è stato rifatto, tutto nasce come novità. Una svolta che ha inizio con l’evento, all’apparenza drammatico, della morte di un uomo di nome Gesù. Un uomo che ha avuto la pretesa di essere il Figlio di Dio, un uomo che è stato ucciso in croce come il più squallido dei delinquenti. Questa è la storia, questo è quello che nessuno è in grado di negare, neppure il più rigido razionalista.
E’ da questo momento in poi che possiamo contare gli anni di vita della Chiesa. Gesù aveva raccolto attorno a se degli apostoli, a loro aveva affidato il compito di diffondere la buona novella. Da Pietro fino a Benedetto XVI ci siamo noi, i cristiani. Sono passati quasi 2000 anni ed è possibile oggi, far rivivere tra noi, lo stesso sentimento di speranza viva e di gioia indicibile dei primi discepoli. Venti secoli di storia non sono passati invano, hanno rivelato sempre meglio il Cristo alla Chiesa e allo stesso tempo hanno contribuito ad allontanarci da lui. A forza di proclamare ad ogni Messa la sua morte e la sua risurrezione, abbiamo finito per farci l’abitudine e non stupirci più. Nel mondo, dopo la risurrezione di Gesù, continua ad esserci la morte e tutto ciò che la prepara: l’odio, la violenza, la sofferenza, la divisione, il peccato. Ma se scendiamo nella profondità delle cose, non è più cosi; c’è un germe che vive e si sviluppa in direzione della vita, è il germe della fede, è la realtà dell’amore che lo Spirito stesso del Risorto effonde nel cuore di quelli che credono nel Risorto. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime. Con la risurrezione egli ha distrutto la morte, ci ha fatto dono della vita eterna, perché anche noi, diventando figli con il Figlio, possiamo pregare esclamando: Abba, Padre! La Pasqua è dunque una storia della conversione alla felicità totale.
Luca 5,33-39 DIGIUNO
33 Allora gli dissero “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono! ”. 34 Gesù rispose “Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro? 35 Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà strappato da loro; allora, in quei giorni, digiuneranno”. 36 Diceva loro anche una parabola “Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio. 37 E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. 38 Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. 39 Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice Il vecchio è buono! ”.
La disputa presuppone i farisei e gli scribi come interlocutori di Gesù. La controversia verte sulla pratica del digiuno. I giudei fervorosi digiunavano due volte la settimana (lunedì e giovedì). Gesù approvò tale pratica, adottata in seguito anche dalla Chiesa (mercoledì e venerdì). Il punto focale della controversia riguarda soprattutto la presenza di Gesù che porta la gioia nel mondo. I farisei e gli scribi notano subito una differenza negli atteggiamenti tra i loro discepoli, i discepoli di Giovanni e quelli di Gesù. Uno stile di vita diverso che si manifesta soprattutto in quelle pratiche esteriori che i farisei ritenevano essenziali per la loro vita di fede. La cultura ebraica era fortemente legata al ritualismo formale, ma questo formalismo spesso era in contrasto con i moti del cuore. Gesù più volte aveva attaccato i farisei e gli scribi per la loro ipocrisia, si era guadagnato cosi il disprezzo e l’odio di tante persone. Importante è notare la novità che Gesù porta con se. E’ pienamente immerso nel mondo, ma è diverso. In un certo senso aveva liberato gli uomini dal fardello pesante delle pratiche legalistiche imposte dai sommi sacerdoti. Il primo attacco che i farisei gli muovono indirettamente attraverso i discepoli riguarda proprio il rispetto delle pratiche esteriori (digiuno e preghiera). Lo stesso Gesù verrà poco dopo accusato di essere un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Proprio questo nuovo atteggiamento di Gesù verso i peccatori suscitava il disprezzo dei farisei, ma allo stesso tempo lo stupore, la meraviglia e l’amore dei poveri, dei sofferenti, dei reietti, di quelli che erano ogni giorno emarginati. Verso questi ultimi Gesù si mostra vicino. Gesù risponde con una domanda, spiazza sempre tutti perché non è mai ovvio. Con questa domanda approfondisce il significato del discorso, in un certo senso porta il problema ad un piano elevato. La discussione non riguarda solo i farisei e Gesù, ma anche i discepoli che attraverso le parole di Gesù ricevono un nuovo insegnamento. La domanda di Gesù sembra fuori luogo, perché introduce elementi nuovi come le nozze e lo sposo. Ovviamente lui stesso è lo sposo e gli invitati alle nozze sono i discepoli. Ecco allora il primo dato di fatto: vivere con Gesù è vivere una relazione forte, un legame che potrebbe essere paragonato ad un matrimonio. Non a caso la Chiesa è definita sposa di Cristo. Noi siamo ogni giorno invitati a vivere la gioia di queste nozze. Dalla prospettiva della gioia per la festa nuziale, ora l’attenzione viene rivolta alla sorte tragica dello sposo. Gesù prefigura ai discepoli la sua morte. Gesù dunque verrà strappato ai discepoli e solo allora vivranno il digiuno come manifestazione esteriore del dolore. La prassi del digiuno già nella chiesa primitiva era associata alla memoria della passione di Gesù. Viene poi aggiunta una parabola. Evidente è il contrasto tra il vecchio e il nuovo. Gesù vuole sottolineare come la novità che lui stesso rappresenta sia in contrasto con il vecchio ordinamento giudaico. Non è possibile per Gesù adeguarsi al vecchio stato di cose che è ormai è sorpassato. Gesù non può adeguarsi ai farisei, alle pratiche legalistiche, ai riti antichi perché questo rovinerebbe la realtà nuova che vivono i discepoli e non servirebbe alla realtà vecchia che Gesù tenta di superare. Ogni istanza ebraica è respinta da Gesù, quel tipo di giudaismo legato unicamente a pratiche ipocrite rappresenta per Gesù una realtà ormai logora e vecchia rispetto alla buona novella. L’ultimo versetto sembra in contrasto con i precedenti. Luca vuole evidenziare l’attaccamento dei giudei alle loro pratiche che impedisce ad essi di accogliere la novità del vangelo. Questo spiega la loro avversione a Gesù e al vangelo. Occorre allora una conversione totale del cuore a Cristo. Il digiuno ci ricorda il nostro limite, rinnova i nostri bisogni, sottolinea la mancanza dello sposo, evidenzia l’esigenza della conversione alla volontà di Dio che caratterizza il periodo quaresimale. Importante è anche ricordare che il digiuno non deve essere inteso solo in senso puramente materiale, anzi occorre digiunare soprattutto dal peccato, dai nostri egoismi, dai nostri pregiudizi, dalle nostre chiusure agli altri. Solo cosi il digiuno non diventa un puro atto formale, esteriore, ma diventa l’occasione per metterci in gioco per confrontare le nostre esigenze con quelle del Signore.
Luca 18,9-14 PREGHIERA
9 Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri 10 “Due uomini salirono al tempio a pregare uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14 Io vi dico questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
Viene qui indicato il modo più vero di pregare, il modo più gradito a Dio che consiste nella consapevolezza della propria condizione. Dinanzi a Dio non conta la quantità, ma la qualità, non contano le prestazioni, ma l’umiltà. Chi confida solo in se stesso non sarà salvato. Chi non si riconosce bisognoso di misericordia non può ricevere nulla poiché Dio esige un vuoto per poterlo colmare con la sua grazia. Il giudizio di Dio non guarda all’esatta osservanza delle regole, ma alla predisposizione del cuore. Occorre fare attenzione che la falsa sicurezza dei farisei di essere giusti dinanzi a Dio con la pretesa di farsi giudici degli altri, possa insinuarsi anche in noi vantando le nostre buone opere dinanzi a Dio invece di riconoscere le nostre mancanze. Subito Luca evidenzia il fatto che chi si ritiene giusto tende a disprezzare gli altri. La parabola si apre con un confronto provocatorio perché al tempo di Gesù i farisei erano stimati come persone impeccabili mentre i pubblicani venivano classificati come peccatori. Il fariseo rispecchia una religiosità falsa perché crede di poter rivendicare dei diritti dinanzi a Dio per la sua osservanza della legge. La mentalità comune era quella della retribuzione: se io osservò la legge allora deve ricevere il bene da Dio. Dunque la sofferenza è frutto del peccato. La presunzione di essere giusti determina l’atteggiamento di superiorità e superbia del fariseo che inizia a disprezzare l’operato degli altri. Il fariseo era salito al tempio non per pregare Dio, ma per vantare i propri meriti. Al posto di Dio aveva posto il suo Io. Dalla bocca del fariseo non esce nessuna lode a Dio, nessun ringraziamento per i doni ricevuti, ma solo una inutile autoesaltazione. Lui si ritiene il modello di santità e ritiene gli altri dei peccatori della peggior specie. Il fariseo riesce ad evidenziare i difetti degli altri, ma non riesce a trovarne di suoi. Pone in evidenza solo le sue buone opere. Il digiuno era prescritto una volta all’anno e lui digiunava due volte alla settimana, la legge comandava per il culto la decima di alcuni prodotti più importanti, il fariseo pagava la decima su tutti i frutti della terra. Possiamo notare anche la differenza nella postura della preghiera. Il fariseo sta ritto cioè bene in vista, pienamente soddisfatto di sé, il pubblicano non ha neppure il coraggio di avvicinarsi al Signore, sta lontano e non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo. Confessa di essere un peccatore e si appella alla misericordia di Dio per ottenere il perdono. Il pubblicano si rivolge a Dio con umiltà e fiducia. Per bocca di Gesù risuona il giudizio. Il pubblicano discese a casa salvato a differenza dell’altro che si era condannato da solo. L’uomo non ottiene la salvezza per le sue buone opere, per il suo impegno, ma solo per la grazia di Dio. La salvezza è sempre un dono e come ogni dono non deve essere preteso, ma va atteso con gratitudine. Dio esalta l’umile e abbassa il superbo. L’umiltà è il fondamento della preghiera, è la disposizione necessaria per ricevere. E’ il cuore che prega, se esso è lontano da Dio, la preghiera è vana. Pregare è scoprire il volto di Dio in noi, occorre guardarsi con occhi misericordiosi. La preghiera è la dinamica fondamentale dell’uomo perché l’uomo è stato creato orientato a Dio e nella preghiera si manifesta la sua apertura all’infinito. La preghiera è ciò che il cuore umano desidera di più. La preghiera allora non è un momento della vita, ma la vita stessa diventa preghiera, tensione continua a Dio se ogni istante, ogni parola, ogni gesto, vengono offerti a colui che solo può dargli pienezza. La quaresima diventa un tempo privilegiato per la preghiera perché più forte si avverte l’amore di Dio, più forte si riconosce l’opera di Dio per noi. Più chiaro diventa il fine dell’Incarnazione. Il Verbo si è fatto carne per morire sulla croce.
Marco 12,41-44 ELEMOSINA
41 E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. 42 Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. 43 Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro “In verità vi dico questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44 Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Episodio commovente del vangelo che richiama direttamente la passione di Gesù. Marco mette in risalto il contrasto tra la sfrontatezza dei ricchi e la generosità della povera vedova che affida interamente la sua vita a Dio con fiducia totale. La vedova offre tutto quanto aveva il suo intero sostentamento per il culto del Signore. Il suo gesto costituito di una religiosità semplice, ma sincera prefigura il dono totale di Gesù che ha offerto la sua vita per la salvezza di molti. Marco pone Gesù in un atrio del tempio davanti alla stanza del tesoro dove c’erano le casse per la raccolta delle offerte. Un incaricato riceveva le offerte e ne proclamava a voce alta l’ammontare, prima di deporle nelle casse. I ricchi ne approfittavano per fare sfoggio delle loro ricchezze considerate un segno della benedizione di Dio. Alle casse si avvicina anche una vedova riconoscibile per l’abbigliamento tipico, e possedeva appena due spiccioli che erano le monete più piccole in uso. Gesù coglie l’occasione per donare un nuovo insegnamento ai discepoli.
Le parole di Gesù sono aperte dall’espressione specifica dell’Amen = In verità a sottolineare l’importanza di quelle parole. L’esempio della donna che non riserva per se nemmeno uno dei due spiccioli che gli servivano per vivere manifesta la radicalità che Dio esige da tutti noi. Gesù non ha riservato nulla di sé per la nostra salvezza, si è speso fino alla morte e alla morte di croce.
Occorre fare attenzione. Questo non significa che Dio ci vuole poveri o che dobbiamo dare via tutto ciò che possediamo. L’elemosina non è altro che un atteggiamento verso le cose. Si tratta di operare un distacco per poter valutare meglio il peso e il valore che diamo alle cose. Spesso queste ci rendono schiavi quando viviamo in funzione solo del possesso. Spesso può accadere di vivere unicamente in vista di qualcosa quando invece occorre vivere in vista di Qualcuno. Qual è il fine della nostra vita. Il vangelo ci ricorda che li dove è il nostro tesoro, li è il nostro cuore. La quaresima ci permette di operare un distacco delle cose per valutare meglio la nostra vicinanza alla persona di Gesù Cristo.
Preghiera finale
Inno alla Carità. (1 Cor 13, 1-8)
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità,
sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi la carità,
non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze
e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi la carità,
niente mi giova.
La carità è paziente,
è benigna la carità;
non è invidiosa la carità,
non si vanta,
non si gonfia,
non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia,
ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.
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"PERCHE’ CERCATE TRA I MORTI COLUI CHE E’ VIVO?"
a cura di Daniele De Angelis
Preghiera iniziale:
Dimmi: che cosa vedi?
Vedi crescere la pace?
Vedi fiorire la giustizia
sulla terra degli uomini?
No! Sento rumore di armi,
scoppi di bombe, fragori di proiettili,
e sulla scena di questo mondo
scorrere tanto sangue innocente.
Dimmi: che cosa vedi?
Vedi una grande tavola imbandita
per il banchetto fraterno
di tutta l’umanità?
No! Vedo donne e bambini
frugare nella spazzatura
per cercare gli avanzi delle feste dei ricchi
e calmare almeno un poco
la loro terribile fame.
Dimmi: che cosa vedi?
Vedi la terra nuova
emergere dal vecchio suolo
che ha visto troppi soprusi?
No! Ma vedo in una stanza
un uomo che spezza il pane per i suoi amici
e sulla collina del Calvario
offre la sua stessa vita.
Sta’ certo: la terra nuova sta per nascere!
Il tempo pasquale rappresenta, per il cristiano, il vertice dell’anno liturgico e in modo specifico il momento più forte per la conversione del cuore. Un tempo di grazia, un tempo propizio per tornare ad essere pienamente uomini. La Pasqua è l’inizio di un tempo originale, l’aurora di un mondo nuovo. Tutto comincia da capo, perché tutto è stato rifatto, tutto nasce come novità. Una svolta che ha inizio con l’evento, all’apparenza drammatico, della morte di un uomo di nome Gesù. Un uomo che ha avuto la pretesa di essere il Figlio di Dio, un uomo che è stato ucciso in croce come il più squallido dei delinquenti. Questa è la storia, questo è quello che nessuno è in grado di negare, neppure il più rigido razionalista.
E’ da questo momento in poi che possiamo contare gli anni di vita della Chiesa. Gesù aveva raccolto attorno a se degli apostoli, a loro aveva affidato il compito di diffondere la buona novella. Da Pietro fino a Benedetto XVI ci siamo noi, i cristiani. Sono passati quasi 2000 anni ed è possibile oggi, far rivivere tra noi, lo stesso sentimento di speranza viva e di gioia indicibile dei primi discepoli. Venti secoli di storia non sono passati invano, hanno rivelato sempre meglio il Cristo alla Chiesa e allo stesso tempo hanno contribuito ad allontanarci da lui. A forza di proclamare ad ogni Messa la sua morte e la sua risurrezione, abbiamo finito per farci l’abitudine e non stupirci più. Nel mondo, dopo la risurrezione di Gesù, continua ad esserci la morte e tutto ciò che la prepara: l’odio, la violenza, la sofferenza, la divisione, il peccato. Ma se scendiamo nella profondità delle cose, non è più cosi; c’è un germe che vive e si sviluppa in direzione della vita, è il germe della fede, è la realtà dell’amore che lo Spirito stesso del Risorto effonde nel cuore di quelli che credono nel Risorto. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime. Con la risurrezione egli ha distrutto la morte, ci ha fatto dono della vita eterna, perché anche noi, diventando figli con il Figlio, possiamo pregare esclamando: Abba, Padre! La Pasqua è dunque una storia della conversione alla felicità totale.
Luca 5,33-39 DIGIUNO
33 Allora gli dissero “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono! ”. 34 Gesù rispose “Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro? 35 Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà strappato da loro; allora, in quei giorni, digiuneranno”. 36 Diceva loro anche una parabola “Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio. 37 E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. 38 Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. 39 Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice Il vecchio è buono! ”.
La disputa presuppone i farisei e gli scribi come interlocutori di Gesù. La controversia verte sulla pratica del digiuno. I giudei fervorosi digiunavano due volte la settimana (lunedì e giovedì). Gesù approvò tale pratica, adottata in seguito anche dalla Chiesa (mercoledì e venerdì). Il punto focale della controversia riguarda soprattutto la presenza di Gesù che porta la gioia nel mondo. I farisei e gli scribi notano subito una differenza negli atteggiamenti tra i loro discepoli, i discepoli di Giovanni e quelli di Gesù. Uno stile di vita diverso che si manifesta soprattutto in quelle pratiche esteriori che i farisei ritenevano essenziali per la loro vita di fede. La cultura ebraica era fortemente legata al ritualismo formale, ma questo formalismo spesso era in contrasto con i moti del cuore. Gesù più volte aveva attaccato i farisei e gli scribi per la loro ipocrisia, si era guadagnato cosi il disprezzo e l’odio di tante persone. Importante è notare la novità che Gesù porta con se. E’ pienamente immerso nel mondo, ma è diverso. In un certo senso aveva liberato gli uomini dal fardello pesante delle pratiche legalistiche imposte dai sommi sacerdoti. Il primo attacco che i farisei gli muovono indirettamente attraverso i discepoli riguarda proprio il rispetto delle pratiche esteriori (digiuno e preghiera). Lo stesso Gesù verrà poco dopo accusato di essere un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Proprio questo nuovo atteggiamento di Gesù verso i peccatori suscitava il disprezzo dei farisei, ma allo stesso tempo lo stupore, la meraviglia e l’amore dei poveri, dei sofferenti, dei reietti, di quelli che erano ogni giorno emarginati. Verso questi ultimi Gesù si mostra vicino. Gesù risponde con una domanda, spiazza sempre tutti perché non è mai ovvio. Con questa domanda approfondisce il significato del discorso, in un certo senso porta il problema ad un piano elevato. La discussione non riguarda solo i farisei e Gesù, ma anche i discepoli che attraverso le parole di Gesù ricevono un nuovo insegnamento. La domanda di Gesù sembra fuori luogo, perché introduce elementi nuovi come le nozze e lo sposo. Ovviamente lui stesso è lo sposo e gli invitati alle nozze sono i discepoli. Ecco allora il primo dato di fatto: vivere con Gesù è vivere una relazione forte, un legame che potrebbe essere paragonato ad un matrimonio. Non a caso la Chiesa è definita sposa di Cristo. Noi siamo ogni giorno invitati a vivere la gioia di queste nozze. Dalla prospettiva della gioia per la festa nuziale, ora l’attenzione viene rivolta alla sorte tragica dello sposo. Gesù prefigura ai discepoli la sua morte. Gesù dunque verrà strappato ai discepoli e solo allora vivranno il digiuno come manifestazione esteriore del dolore. La prassi del digiuno già nella chiesa primitiva era associata alla memoria della passione di Gesù. Viene poi aggiunta una parabola. Evidente è il contrasto tra il vecchio e il nuovo. Gesù vuole sottolineare come la novità che lui stesso rappresenta sia in contrasto con il vecchio ordinamento giudaico. Non è possibile per Gesù adeguarsi al vecchio stato di cose che è ormai è sorpassato. Gesù non può adeguarsi ai farisei, alle pratiche legalistiche, ai riti antichi perché questo rovinerebbe la realtà nuova che vivono i discepoli e non servirebbe alla realtà vecchia che Gesù tenta di superare. Ogni istanza ebraica è respinta da Gesù, quel tipo di giudaismo legato unicamente a pratiche ipocrite rappresenta per Gesù una realtà ormai logora e vecchia rispetto alla buona novella. L’ultimo versetto sembra in contrasto con i precedenti. Luca vuole evidenziare l’attaccamento dei giudei alle loro pratiche che impedisce ad essi di accogliere la novità del vangelo. Questo spiega la loro avversione a Gesù e al vangelo. Occorre allora una conversione totale del cuore a Cristo. Il digiuno ci ricorda il nostro limite, rinnova i nostri bisogni, sottolinea la mancanza dello sposo, evidenzia l’esigenza della conversione alla volontà di Dio che caratterizza il periodo quaresimale. Importante è anche ricordare che il digiuno non deve essere inteso solo in senso puramente materiale, anzi occorre digiunare soprattutto dal peccato, dai nostri egoismi, dai nostri pregiudizi, dalle nostre chiusure agli altri. Solo cosi il digiuno non diventa un puro atto formale, esteriore, ma diventa l’occasione per metterci in gioco per confrontare le nostre esigenze con quelle del Signore.
Luca 18,9-14 PREGHIERA
9 Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri 10 “Due uomini salirono al tempio a pregare uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14 Io vi dico questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
Viene qui indicato il modo più vero di pregare, il modo più gradito a Dio che consiste nella consapevolezza della propria condizione. Dinanzi a Dio non conta la quantità, ma la qualità, non contano le prestazioni, ma l’umiltà. Chi confida solo in se stesso non sarà salvato. Chi non si riconosce bisognoso di misericordia non può ricevere nulla poiché Dio esige un vuoto per poterlo colmare con la sua grazia. Il giudizio di Dio non guarda all’esatta osservanza delle regole, ma alla predisposizione del cuore. Occorre fare attenzione che la falsa sicurezza dei farisei di essere giusti dinanzi a Dio con la pretesa di farsi giudici degli altri, possa insinuarsi anche in noi vantando le nostre buone opere dinanzi a Dio invece di riconoscere le nostre mancanze. Subito Luca evidenzia il fatto che chi si ritiene giusto tende a disprezzare gli altri. La parabola si apre con un confronto provocatorio perché al tempo di Gesù i farisei erano stimati come persone impeccabili mentre i pubblicani venivano classificati come peccatori. Il fariseo rispecchia una religiosità falsa perché crede di poter rivendicare dei diritti dinanzi a Dio per la sua osservanza della legge. La mentalità comune era quella della retribuzione: se io osservò la legge allora deve ricevere il bene da Dio. Dunque la sofferenza è frutto del peccato. La presunzione di essere giusti determina l’atteggiamento di superiorità e superbia del fariseo che inizia a disprezzare l’operato degli altri. Il fariseo era salito al tempio non per pregare Dio, ma per vantare i propri meriti. Al posto di Dio aveva posto il suo Io. Dalla bocca del fariseo non esce nessuna lode a Dio, nessun ringraziamento per i doni ricevuti, ma solo una inutile autoesaltazione. Lui si ritiene il modello di santità e ritiene gli altri dei peccatori della peggior specie. Il fariseo riesce ad evidenziare i difetti degli altri, ma non riesce a trovarne di suoi. Pone in evidenza solo le sue buone opere. Il digiuno era prescritto una volta all’anno e lui digiunava due volte alla settimana, la legge comandava per il culto la decima di alcuni prodotti più importanti, il fariseo pagava la decima su tutti i frutti della terra. Possiamo notare anche la differenza nella postura della preghiera. Il fariseo sta ritto cioè bene in vista, pienamente soddisfatto di sé, il pubblicano non ha neppure il coraggio di avvicinarsi al Signore, sta lontano e non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo. Confessa di essere un peccatore e si appella alla misericordia di Dio per ottenere il perdono. Il pubblicano si rivolge a Dio con umiltà e fiducia. Per bocca di Gesù risuona il giudizio. Il pubblicano discese a casa salvato a differenza dell’altro che si era condannato da solo. L’uomo non ottiene la salvezza per le sue buone opere, per il suo impegno, ma solo per la grazia di Dio. La salvezza è sempre un dono e come ogni dono non deve essere preteso, ma va atteso con gratitudine. Dio esalta l’umile e abbassa il superbo. L’umiltà è il fondamento della preghiera, è la disposizione necessaria per ricevere. E’ il cuore che prega, se esso è lontano da Dio, la preghiera è vana. Pregare è scoprire il volto di Dio in noi, occorre guardarsi con occhi misericordiosi. La preghiera è la dinamica fondamentale dell’uomo perché l’uomo è stato creato orientato a Dio e nella preghiera si manifesta la sua apertura all’infinito. La preghiera è ciò che il cuore umano desidera di più. La preghiera allora non è un momento della vita, ma la vita stessa diventa preghiera, tensione continua a Dio se ogni istante, ogni parola, ogni gesto, vengono offerti a colui che solo può dargli pienezza. La quaresima diventa un tempo privilegiato per la preghiera perché più forte si avverte l’amore di Dio, più forte si riconosce l’opera di Dio per noi. Più chiaro diventa il fine dell’Incarnazione. Il Verbo si è fatto carne per morire sulla croce.
Marco 12,41-44 ELEMOSINA
41 E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. 42 Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. 43 Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro “In verità vi dico questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44 Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Episodio commovente del vangelo che richiama direttamente la passione di Gesù. Marco mette in risalto il contrasto tra la sfrontatezza dei ricchi e la generosità della povera vedova che affida interamente la sua vita a Dio con fiducia totale. La vedova offre tutto quanto aveva il suo intero sostentamento per il culto del Signore. Il suo gesto costituito di una religiosità semplice, ma sincera prefigura il dono totale di Gesù che ha offerto la sua vita per la salvezza di molti. Marco pone Gesù in un atrio del tempio davanti alla stanza del tesoro dove c’erano le casse per la raccolta delle offerte. Un incaricato riceveva le offerte e ne proclamava a voce alta l’ammontare, prima di deporle nelle casse. I ricchi ne approfittavano per fare sfoggio delle loro ricchezze considerate un segno della benedizione di Dio. Alle casse si avvicina anche una vedova riconoscibile per l’abbigliamento tipico, e possedeva appena due spiccioli che erano le monete più piccole in uso. Gesù coglie l’occasione per donare un nuovo insegnamento ai discepoli.
Le parole di Gesù sono aperte dall’espressione specifica dell’Amen = In verità a sottolineare l’importanza di quelle parole. L’esempio della donna che non riserva per se nemmeno uno dei due spiccioli che gli servivano per vivere manifesta la radicalità che Dio esige da tutti noi. Gesù non ha riservato nulla di sé per la nostra salvezza, si è speso fino alla morte e alla morte di croce.
Occorre fare attenzione. Questo non significa che Dio ci vuole poveri o che dobbiamo dare via tutto ciò che possediamo. L’elemosina non è altro che un atteggiamento verso le cose. Si tratta di operare un distacco per poter valutare meglio il peso e il valore che diamo alle cose. Spesso queste ci rendono schiavi quando viviamo in funzione solo del possesso. Spesso può accadere di vivere unicamente in vista di qualcosa quando invece occorre vivere in vista di Qualcuno. Qual è il fine della nostra vita. Il vangelo ci ricorda che li dove è il nostro tesoro, li è il nostro cuore. La quaresima ci permette di operare un distacco delle cose per valutare meglio la nostra vicinanza alla persona di Gesù Cristo.
Preghiera finale
Inno alla Carità. (1 Cor 13, 1-8)
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità,
sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi la carità,
non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze
e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi la carità,
niente mi giova.
La carità è paziente,
è benigna la carità;
non è invidiosa la carità,
non si vanta,
non si gonfia,
non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia,
ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.
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