
ore 02.04
INCONTRO DEL 25 GENNAIO 2008 GRUPPO GIOVANI AC
Venite e vedrete
a cura di Daniele De Angelis
Preghiera iniziale
Dal discorso per la veglia dei giovani a Loreto di Benedetto XVI
La felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth. Solo Lui dà pienezza di vita all’umanità. Chi fa entrare Cristo nella propria vita non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita bella e grande. Solo in questa amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Sono in questa amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto alla perfezione per la gloria di Dio, la felicità degli uomini, e la salvezza del mondo.
Lettura Gv 1,35-51
35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36 e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse “Ecco l’agnello di Dio! ”. 37 E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse “Che cercate? ”. Gli risposero “Rabbì (maestro), dove abiti? ”. 39 Disse loro “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” 42 e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)”. 43 Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse “Seguimi”. 44 Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. 45 Filippo incontrò Natanaèle e gli disse “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”. 46 Natanaèle esclamò “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono? ”. Filippo gli rispose “Vieni e vedi”. 47 Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. 48 Natanaèle gli domandò “Come mi conosci? ”. Gli rispose Gesù “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”. 49 Gli replicò Natanaèle “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele! ”. 50 Gli rispose Gesù “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste! ”. 51 Poi gli disse “In verità, in verità vi dico vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.
Si tratta della chiamata dei primi discepoli. Sono una fonte impressionante del diffondersi della testimonianza che si propaga come un contagio da un testimone all’altro accendendo tutti di una stessa fiamma, di uno stesso calore (cfr. Lc 24,32). Il primo ad essere contagiato è proprio Giovanni il Battista, il precursore, che gode nella fede di una visione particolarmente intensa, perché riconosce lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e posarsi su Gesù. Siamo nel terzo giorno della settimana. Giovanni indica Gesù a due suoi discepoli. Giovanni compie la prima testimonianza del brano. Uno di loro è Andrea che chiama a sua volta il fratello Pietro e lo conduce a Gesù. Il giorno dopo Gesù incontra Filippo e questo invita Natanaele a fare l‘incontro. Dunque, possiamo dire che la testimonianza è la mediazione necessaria per giungere a Gesù, ma comunque, l’incontro rimane sempre personale, unico e immediato. Occorre sempre una risposta personale. Importante è la ricorrenza dei verbi: Fissare, dire, sentire, seguire, vedere, rispondere, venire, andare, incontrare, condurre, trovare, domandare, chiamare, credere. Tutti verbi che esprimono il dinamismo dell’uomo, indicano una relazione, una sequela. Sono i verbi di una testimonianza discepolare. La testimonianza iniziata con Giovanni prosegue con altri discepoli con un approfondimento sempre più forte della figura del maestro. C’è un crescendo continuo per la comprensione del mistero di Cristo. Gesù viene indicato di volta in volta come Agnello, Maestro, Messia, Figlio di Dio, Re. Tutto il brano è teso alla finalità ultima di Cristo. Non a caso Giovanni apre il testo con il simbolo dell’agnello sacrificale. Il testo è chiuso dall’immagine della scala di Giacobbe, il cielo aperto e gli angeli di Dio che salgono e scendono sul Figlio dell’uomo mediatore perfetto tra la terra e il cielo. Tutto il brano è testo alla croce e alla risurrezione.
35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36 e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse “Ecco l’agnello di Dio! ”
Occorre tenere presente che Gesù si è fatto battezzare da Giovanni. Il battesimo era già un gesto di iniziazione. Il gesto del battezzare è un gesto tipico del maestro rispetto al discepolo. Si può ipotizzare che Gesù fosse uno dei discepoli del Battista. Possiamo ipotizzare che Gesù sia cresciuto alla scuola del Battista. Gesù ha imparato in una maniera nuova le scritture in quei circoli profetici e sacerdotali che giravano attorno a Giovanni Battista. Giovanni con il battesimo riconosce proprio colui che il giorno prima aveva annunciato rispondendo ad una delegazione di sacerdoti e leviti mandati da Gerusalemme. Giovanni è colpito nel riconoscere in Gesù il Cristo colui che è venuto a togliere il peccato del mondo. Vediamo Giovanni in una immobilità estatica, nel vedere Gesù ha capito che la sua missione è finita. E’ come paralizzato, scioccato, ipnotizzato con gli occhi fissi su Gesù. Lo riconosce e comprende che è giunto il tempo per lui di riposare. Possiamo paragonare Giovanni a Mosè sul monte Nebo. Mosè arriva alle soglie di Canaan, ma non può entrare nella terra promessa, la vede, ma non può entrarci. Giovanni riconosce in Gesù il Messia promesso dai profeti, ma è necessario che lui diminuisca e scompaia per far crescere Gesù. Straordinaria è l’affermazione pasquale: “Ecco l’Agnello di Dio”. Giovanni è illuminato dalla luce pasquale, vede in prefigurazione la croce. Giovanni è il primo a testimoniare Gesù perché lo indica ai suoi discepoli. Prima è avvenuto l’incontro con Gesù, poi c’è la testimonianza del Battista. Senza incontro portiamo solo la nostra testimonianza.
37 E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Due sono i discepoli. Uno è Andrea, dell’altro non ci viene riferito il nome. Al posto del discepolo senza nome, mettiamo il nostro nome. E’ un pò il nostro posto. E il modello discepolare. E’ il luogo che tutti noi dovremmo abitare. Stanno vivendo un momento di crisi. Hanno preso sul serio le parole di Giovanni. Stanno lasciando il Battista, il loro maestro, per andare dietro ad un perfetto sconosciuto. Comunque è bello il loro atteggiamento aperto alla novità, si mettono nella condizione di apertura, di ascolto, senza pregiudizi. I pregiudizi sono sinonimo di pigrizia mentale. Giovanni riesce a trasmettere totalmente Gesù tanto che i discepoli si staccano dal maestro per andare dietro a Gesù. E’ essenziale nel metodo educativo ricordarsi di lasciar trasparire la presenza di Gesù. Se i nostri piccoli seguono noi e non Cristo abbiamo fallito. Abbiamo sbagliato tutto. Ora i discepoli seguono Gesù per curiosità, per rispetto delle parole di Giovanni. In quelle parole hanno riconosciuto la verità. Tutto il cammino del discepolo è desiderio. Inizia con il desiderio, è motivato dal desiderio ed è percorso dal desiderio fino alla fine.
38 Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse “Che cercate? ”.
Gesù fa la prima mossa. Si volta, li guarda e fa loro una domanda. E’ sempre cosi nella nostra storia se ci pensiamo bene. Gesù è sempre in anticipo, ci precede sempre. E dobbiamo sempre sperare che sia cosi perché se Gesù non ci indica la strada non sapremmo dove andare, saremmo vinti dai dubbi, dalle paure, dalle incertezze. Gesù cammina davanti a noi, ci segna la strada perché lui sa dove andare. Ora noi riusciamo a camminare solo se sappiamo dove dobbiamo andare. Gesù stesso ci dice io solo via, la verità, la vita. La cosa più straordinaria è che Gesù ci aspetta, cammina con noi, anzi fa molto di più, se cadiamo si fa prossimo e ci rialza, ci prende per mano, ci accompagna. Ora nel voltarsi vede i discepoli che lo seguono, cercano qualcosa, ma non hanno il coraggio di domandare. Gesù compie un gesto straordinario, fa loro una domanda. Rompe il loro disagio, la paura, e va loro incontro. Prima ancora di parlare Gesù li incontra, si fa prossimo. “Che cosa cercate? “ Domanda che ritroviamo il mattino di pasqua. Un angelo rivolge questa domanda alla Maddalena. “Chi cerchi donna?”. Cercare può essere tradotto anche con desiderare. Dunque Gesù fa loro la domanda più importante della loro vita, della nostra vita. “Che cosa desideriamo?” Qual è il nostro desiderio, il nostro scopo, il senso di quello che facciamo. Che cosa vogliamo da Dio. L’uomo è sempre in cerca di qualcosa. Gesù ci precede anche nel desiderio. Non siamo noi a cercare Dio, ma è Dio che cerca noi. Dio è continuamente in cerca dell’uomo. Lo vediamo bene nella Genesi dove Dio ricerca Adamo che si nasconde. “Adamo dove sei”?. La stessa incarnazione è la ricerca suprema dell’uomo. Dio scende sulla terra per portarci a Lui. Anche in questo brano è Gesù che cerca il rapporto con i discepoli. Il desiderio è reciproco, perché se l’uomo non desidera Dio non lo incontrerà mai. Il desiderio è il luogo dell’incontro con Dio. Ogni altro desiderio che non ci conduce a Lui è volontà umana. Ogni volontà umana, senza desiderio diventa ostinazione.
Gli risposero “Rabbì (maestro), dove abiti? ”.
Chiamare uno come Rabbì è come mettersi alla sua sequela, è come dire “vuoi farci da Maestro”? Il dove abiti non si riferisce alla residenza, alla dimora. Dove abiti vuol dire:
- Dove stai con Dio. In quale relazione sei con Dio.
- Che cosa dici tu di Dio.
- Qual è il volto di Dio che ci porti.
Forse in fondo è proprio quello cha anche noi desideriamo. E’ la domanda che vorremmo ci fosse rivolta dalla gente.
Disse loro “Venite e vedrete”.
In questa risposta c’è una sfumatura che cambia il modo di affrontare la vita e il rapporto con Dio. Gesù ci dice Venite oggi, vedrete domani, fra un anno, forse solo alla fine. E’ una promessa che cambia le nostre prospettive basate sul tutto e subito, soprattutto oggi in cui non riusciamo più ad attendere. Dobbiamo sapere invece, che ogni cosa che vale merita di essere attesa. Il cammino della sequela è un presente che si apre costantemente al domani. Acquista valore allora, la fedeltà. L’oggi è solo un momento dell’eternità. La fedeltà è una continua sfida, un continuo mettersi in gioco. Lo sanno bene le coppie sposate. E’ cosi nelle relazioni umane. Spesso pretendiamo dagli altri che siano come noi. Spesso non riusciamo a capire gli altri nemmeno dopo una vita. Gesù ci dice che comprenderemo, vedremo tutto chiaro solo dopo, secondo la sua volontà.
Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Viene descritto il rapporto di relazione. L’evangelista ci dice che prima c’è la relazione e poi la comunicazione. Il dialogo vero e profondo avviene solo all’interno di una relazione vera, una esperienza esistenziale vissuta. Uno stare presso, un dimorare vicino, uno starci. Purtroppo noi non abbiamo questo schema mentale. In una società tecnologica come la nostra la comunicazione precede tutto il resto. Il problema è anche che questa comunicazione è anche virtuale, non è reale. Tutti possono comunicare con gli altri senza vedersi, senza incontrarsi.
Siamo dunque nella società della non relazionalità perché non ci si conosce più. Le relazioni sono sempre più deboli e fragili. Perché ci sia relazione autentica occorre innanzitutto il Tu con cui potersi coinvolgere, il compromettersi con l’altro. Se non rischiamo non creiamo relazioni. Occorre anche imparare a perdere, saper accettare il rifiuto dell’altro. Non basta comunicare per relazionarsi. Occorre dimorare presso, farsi l’uno volto dell’altro. Una volta creata la relazione il contagio è assicurato. Andrea chiama Simone, Filippo chiama Natanaele usando le stesse parole che Gesù aveva usato con i primi due. Tutti gli altri vi riconosceranno cristiani per come vi amerete.
Ascolto della canzone: VI AMO COSI (Brusati - Versaci)
Ma chi erano i primi discepoli?
Lettura di Mc 3,13-19
16 Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; 17 poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; 18 e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo 19 e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.
I dodici vengono nominati uno ad uno. Dio li conosce, li chiama per nome. Vengono chiamati, cioè vocati, prescelti per proseguire la sua missione. Dodici è un numero simbolico che richiama il numero dei figli di Giacobbe da cui derivarono le dodici tribù di Israele. Il gruppo principale dei Dodici è costituito dai pescatori del lago di Genèsaret: Simone, che il Signore avrebbe poi chiamato Cefa - Pietro. Dall‘episodio della guarigione della suocera sappiamo che era sposato. Non vi sono motivi per negare tali testimonianze, per le quali la morte di Pietro dovrebbe essere collocata negli anni 64-67. Tertulliano fu anche il primo a riportare la notizia della crocifissione di Pietro, seguito da Gerolamo che precisò "a testa in giù". Tale forma di supplizio è attestata per l'epoca di Nerone. Complessi e delicati scavi archeologici hanno portato a identificare con ampio margine di certezza il luogo della sepoltura di Pietro sul colle Vaticano a Roma, ove poi sarà edificata l'imponente basilica di San Pietro. Prima della chiamata di Gesù era il capo di una cooperativa di pesca in cui lavorava insieme a suo fratello maggiore Andrea. Nel Vangelo secondo Giovanni (1:35-42) Andrea è il primo dei discepoli a essere chiamato da Gesù. Secondo la tradizione fu crocifisso a Patmos su una croce a forma di X, divenuta nota come croce di sant'Andrea. È il santo patrono della Scozia e della Russia. Giovanni e Giacomo, i figli di Zebedeo, erano anche loro pescatori, ai quali il Signore diede il nome di “Boanèeghes” -figli del tuono- alludendo al loro temperamento impetuoso, ben riconoscibile nel vangelo di Giovanni. Giacomo fu decapitato da Erode Agrippa I, governatore della Giudea, intorno al 44, Giacomo fu il primo dei dodici apostoli a patire il martirio (Atti 12:1-2). È venerato soprattutto in Spagna poiché, secondo una tradizione non documentata, vi andò a predicare poco prima di morire. con Pietro fu l'apostolo più attivo nell'organizzazione della Chiesa dei primordi, dapprima in Palestina e poi in tutta l'Asia Minore. Giovanni invece era il discepolo prediletto di Gesù. La tradizione vuole che, durante un periodo di persecuzioni cristiane da parte dei romani, Giovanni sia stato relegato nell'isola di Patmos, dove si ritiene abbia scritto l'Apocalisse, o Libro della Rivelazione; recatosi in seguito a Efeso, vi avrebbe scritto tre Lettere e il quarto Vangelo. C’è anche Filippo il cui nome è di chiara origine greca. Nel Vangelo di Giovanni, Filippo appare in tre episodi della vita di Gesù: la prima volta, chiamato da questi durante la moltiplicazione dei pani e dei pesci; in seguito, avvicinato da alcuni greci che desideravano vedere Gesù; infine, durante l'Ultima cena.
I resoconti successivi del suo apostolato sono di dubbia autenticità, e in essi egli viene spesso confuso con Filippo l'Evangelista, uno dei diaconi scelti dagli apostoli, attivo in seguito nella Palestina occidentale e stabilitosi a Cesarea. Secondo la tradizione, san Filippo morì crocifisso, motivo per cui la croce è il suo simbolo nell'arte medievale, assieme a un segno più comune, il pane, che si riferisce alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Due di loro venivano dal partito degli zeloti: Simone, che in Lc 6,15 è chiamato “Zelota”, in Marco e Matteo è chiamato “Cananaios” che, però, ha lo stesso significato; e Giuda Iscariota che può significare semplicemente “uomo di Keriot”, ma può anche designarlo come un sicario, una variante radicale degli zeloti. Lo zelo per la legge, che dava il nome a questo movimento, vedeva i suoi modelli nei grandi zelanti della storia di Israele tra cui Pincas Nm 25,6-13, Elia 1 Re 18, Mattatia 1 Mac 2,17-28. Gli zeloti consideravano questi grandi zelanti come una eredità vincolante, che doveva essere posta in atto con la forza nei confronti della occupazione romana. Troviamo poi Levi-Matteo che, in quanto pubblicano, lavorava a stretto contatto con il potere dominante e, per la sua posizione sociale, doveva essere classificato come pubblicano peccatore. Sappiamo ben poco di Taddeo, la tradizione ecclesiastica gli attribuisce la Lettera di Giuda; lo storico della Chiesa Eusebio di Cesarea cita Giuda Taddeo come uno dei Settanta (Luca 10:17). Abbiamo poche notizie anche per Bortolomeo che numerosi studiosi della Bibbia identificano con Natanaele, nativo di Galilea, descritto in Giovanni 1:45-51. Secondo la tradizione, fu missionario in molti paesi; ci sono pervenuti frammenti di un apocrifo Vangelo di Bartolomeo, risalente a un originale greco del III secolo. Di Giacomo di Alfeo non sappiamo quasi nulla tranne che forse è l‘autore della omonima lettera contenuta tra le lettere cattoliche della Bibbia, e Tommaso l‘incredulo, ma in effetti fu il primo a riconoscere la divinità di Gesù quando dopo averlo toccato esclama “mio Signore e mio Dio”. "Tommaso" è un soprannome (in aramaico Töma significa: gemello). Solo Giovanni in tre passi del suo Vangelo dà il terzo nome:"Tommaso detto Didimo"; ma è una tautologia, perché anche Didimo significa "gemello". Possiamo supporre che i Dodici fossero tutti ebrei credenti e osservanti, che aspettavano la salvezza di Israele. Nonostante ciò erano diversissimi fra loro.
PROVOCAZIONI
- Il discepolato è diverso per ognuno. Ognuno ha una sua storia, un suo cammino, un incontro personale, una relazione propria con il Signore. Qual è la mia storia di discepolo?
- Quale desiderio mi abita, che cosa desidero?
- Come è la mia relazione con il Signore e con gli altri?
- A che punto sono del mio cammino spirituale?
- Come riesco a testimoniare l’incontro con quelli che Gesù mi ha posto accanto?
Dal discorso per la veglia dei giovani a Tor Vergata di Giovanni Paolo II
E’ Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E’ Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna. Non siete soli. Tanti come voi lottano e con la grazia del Signore vincono!
Per visualizzare
CARAVAGGIO, Chiamata di Matteo, Roma s. Luigi dei Francesi.
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